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Picasso, Pablo.

Pittore e scultore spagnolo. Figlio del pittore José Ruiz Blasco, adottò in seguito il cognome della madre, Maria Picasso López, di origine genovese. Iniziato dal padre, curatore del museo di Malaga, all'espressione pittorica, frequentò la Scuola di belle arti dapprima a Barcellona (1896), quindi a Madrid (1897). Nella capitale P. ebbe modo di conoscere direttamente i maggiori capolavori spagnoli esposti al Prado - da El Greco a Murillo, a Goya - diventando sempre più insofferente nei confronti del clima presente all'interno delle mura accademiche. Appena sedicenne espose le prime tele (1897, Scienza e Carità, Esposizione di Belle Arti), abbastanza legate alla tradizione dei maggiori maestri spagnoli, ma nelle quali già si affermava la tendenza a un realismo violentemente espressivo. I due anni successivi furono decisivi per la sua formazione artistica e umana. Ammalatosi gravemente nel corso del 1898, P. fu costretto a trascorrere il resto dell'anno a Horta de Ebro, in Catalogna. In questo periodo, caratterizzato da una profonda presa di coscienza di sé e della propria individualità, maturò la decisione di interrompere gli studi, rigettando definitivamente i progetti familiari di carriera accademica. Tornato a Barcellona, P. partecipò ai fermenti culturali che scuotevano la città insieme agli artisti e agli intellettuali del caffè Els Quatre Gats. Uno dei lavori presentati nella città catalana, Ultimi istanti (1900), venne ammesso all'Esposizione Universale di Parigi, offrendogli così l'occasione di visitare la capitale francese. Nel corso del primo dei tre soggiorni parigini (1900), P. si dedicò insieme all'amico Carles Casagemas a uno scrupoloso studio dei contemporanei francesi, da Toulouse-Lautrec, Steinlen, Vuillard, a Gauguin e Van Gogh, realizzando opere che furono insieme un tentativo di distacco dai modelli della sua formazione, e una cosciente imitazione dei modi stilistici di altri autori. Ma, ciò che è più importante, l'incontro con Parigi determinò la scoperta del colore in tutta la sua brillantezza e luminosità, lontano dai toni scuri della natia Spagna. A questo periodo risalgono le visioni della vita parigina, immagini di locali, colte nella loro immediatezza e dinamicità in dipinti quali Amanti per la strada o Moulin de la Galette (1900, New York, J.K. Tannhauser Collection). Non si trattava di una rinuncia all'espressione personale, intimamente legata alla realtà del suo Paese, ma del tentativo di superare l'impatto stilistico, di cercare un linguaggio universale per imporre un suo messaggio espressivo originale. Il dolore per la morte dell'amico Casagemas, suicidatosi a Parigi, gli fornì uno degli spunti emozionalmente più forti all'esplosione della nuova stagione espressiva del cosiddetto periodo blu. Tra il 1901 e il 1904, infatti, lo stile di P., che nel frattempo aveva preso a muoversi tra Barcellona e Parigi, mutò sostanzialmente. Preannunciato dai lavori dedicati all'amico scomparso (I dolenti ed Evocazione, 1901), il suo mondo divenne quello della sofferenza, dei diseredati e dell'emarginazione (La minestra, 1902; Il pasto del cieco, 1903; Vecchio ebreo e ragazzo, 1903; La vita, 1904). Le opere del periodo blu, la definizione del quale trae origine dalla gamma di colori usata che va dal grigio al turchino, al blu, presentano una singolare semimonocromia, che realizza da un lato l'accentuazione del valore plastico delle immagini, dall'altro la suggestione di una visione eminentemente soggettiva del reale. Al di là dei soggetti ritratti (appartenenti allo squallido panorama del proletariato spagnolo) è il peso e il significato sociale della miseria in generale a emergere dalle composizioni: la strana immobilità e, a volte, l'evanescenza delle figure appaiono di un realismo anche più profondo che non la denuncia del particolare. Dal punto di vista stilistico è da notare soprattutto quanto sia già imperativa l'esigenza di un rigore formale, di un uso sobrio e misurato del mezzo tecnico (in netta contrapposizione al gusto ancora dominante dell'Impressionismo) che saranno caratteristiche fondamentali del Cubismo. Nel 1904 P. decise di stabilirsi definitivamente a Parigi, fissando la sua residenza al Bateau-Lavoir. Nell'estate dello stesso anno compì un viaggio in Olanda. I lavori di questo periodo riflettono un totale mutamento di prospettiva, sia dal punto di vista spirituale sia da quello artistico. Il mondo circense con i suoi saltimbanchi e i suoi pagliacci divenne un tema condiviso con un altro dei suoi amici, Guillaume Apollinaire. Dopo una serie iniziale di Arlecchini, e lavori quali la Ragazza in equilibrio sulla palla (1905), la Famiglia di acrobati (1905), in cui il colore tendeva già ad accenti più morbidi e caldi, P. dipinse il gruppo di opere dette del periodo rosa (L'harem, Due nudi, La toilette, 1906); probabilmente a seguito della breve esperienza olandese, cominciò a operare secondo ritmi più ampi, spesso curvilinei, dando anche alle figure un'impostazione maggiormente scultorea. Non si trattò tuttavia tanto di una svolta stilistica, quanto di una ulteriore elaborazione della tematica precedente, di un approfondimento del tema plastico verso una maggiore semplificazione e sintesi formale. Del resto lo stesso mondo affettivo di P. conobbe in quegli anni un nuovo profondo rivolgimento con l'irruzione nella sua vita di Fernande Olivier, la donna che avrebbe ispirato molte delle sue opere almeno fino all'avvento del periodo cubista. Il Ritratto di Gertrude Stein (1906, New York, Metropolitan Museum of Modern Art) arrivò a suggellare la fine del periodo rosa, aprendo la strada a una nuova e ancora più innovativa stagione espressiva, caratterizzata da un'ulteriore semplificazione e saldezza delle forme, in linea con i dettami tipici di quell'arte africana di cui P. aveva cominciato ad avvertire il fascino. Tale interesse, al quale non furono estranei i coniugi Stein, tra i primi collezionisti di un certo rilievo delle sue opere e anello di collegamento tra lo stesso P. e Matisse, si esplicò in una serie di lavori dove l'attenzione quasi maniacale per la figura umana divenne preponderante. Il ritorno ai problemi volumetrici, ispirato anche dall'approfondimento dell'opera di Paul Cézanne negli anni 1905-06, portò P. ad addentrarsi in un'analisi sempre più dettagliata delle soluzioni plastiche offerte dall'arte africana, poi sfociata nel fondamentale Les demoiselles d'Avignon (1907, New York, Museum of Modern Art). Il suo brutale trattamento dei corpi femminili e i visi simili a maschere rituali rappresentavano un punto di rottura e insieme il logico sviluppo della tradizione storico-artistica precedente, da El Greco, a Cézanne, a Ingres. La riscoperta della plastica africana fu dovuta principalmente al movimento fauvista, ma il contenuto di questa estetica, già di per sé rivoluzionario in quanto nettamente contrapposto al culto romantico del Naturalismo e della genialità personale dell'artista, divenne violentemente significativo solo attraverso la sua analisi. Con Les demoiselles d'Avignon si chiarì in maniera definitiva la distanza esistente fra "natura" e "arte": quanto la deformazione evidente della forma poneva la misura del reale, conosciuto ed espresso, al di là dell'immediatamente visibile, così il peso, la violenza plastica data dalla semplificazione e dalla rozzezza del volume imponeva un rapporto non soggettivistico con l'immagine. Contro l'illusionismo realistico degli impressionisti P. propose un'immagine concettuale attraverso la consapevole deformazione della figura, dell'oggetto. La tela, presentata nel 1907, suscitò un certo stupore e interesse tra gli artisti contemporanei, ma non ottenne successo presso critici e pubblico e venne ritirata da P. per un certo numero di anni. Da tali premesse, e soprattutto attraverso il sodalizio con Georges Braque e il comune lavoro di approfondimento dell'opera di Cézanne, prese le mosse il Cubismo. Braque, proveniente dalle file del Fauvismo, svolse infatti un ruolo fondamentale sia nell'ottica del nuovo filone espressivo sia, più in particolare, nell'ambito della travagliata vicenda espressiva di P. Più accessibile di questi all'indagine strutturale sul fatto naturale, non è da escludere l'ipotesi che sia stato proprio Braque a costituire il tramite effettivo tra lo stesso P. e l'opera di Cézanne. Ciò che distinse nettamente P. da Braque fu invece la tendenza a un'espressione drammaticamente estroversa, per cui possedere ed esprimere la realtà significava necessariamente violentarla, distruggerla e, quindi, ricostruirla. Ciò non toglie che diversi elementi dei lavori di Cézanne - dagli spazi superficiali ai caratteristici colpi di pennello - apparvero nelle opere del periodo 1908-10. I soggiorni estivi in un piccolo villaggio nei pressi di Créteil (1908), quindi a Horta de Ebro (1909) e a Cadaqués (1910) segnarono la completa maturazione del nuovo linguaggio, caratterizzato da una quasi totale predominanza delle tonalità grigie e da una scomposizione totale dell'oggetto, aperto in ogni direzione e completamente collegato all'ambiente circostante. Pur non esistendo una teorizzazione originale del movimento, la critica ha voluto suddividere l'esperienza cubista in due periodi distinti, uno analitico e uno sintetico. Principio basilare comune rimase, comunque, l'idea della scomponibilità dell'oggetto e della sua proponibile rappresentazione secondo una tridimensionalità non prospettiva, ma oggettiva. L'idea consisteva appunto nel riuscire a rappresentare un tipo di realtà slegata dalla tradizione rinascimentale, che basava la visione della scena sui concetti di prospettiva e di illusione. Così come il dato dell' esperienza concettuale dell'oggetto veniva anteposto al dato dell'esperienza puramente visiva, l'unità concettuale delle immagini era ciò che determinava la scelta formale-compositiva; il soggetto, volutamente banale e casuale, si riproponeva come entità significante solo attraverso l'intervento pensante dell'autore e del fruitore. Il fatto puramente contemplativo era escluso dalla visione cubista: veniva a crearsi necessariamente un rapporto dialettico tra l'opera e lo spettatore, in quanto quest'ultimo avrebbe dovuto egli stesso compiere un processo di ricomposizione dell'immagine. La semplificazione "cubica" aveva, oltre che nella verifica sperimentale ed espressiva, un significato proprio per la sua elementarità: la forma geometrica fondamentale costituiva l'entità geometrica più immediatamente riconoscibile, la prima acquisita dall'essere umano. Quest'elemento della forma semplice, percettibilissima, rimarrà basilare anche in opere più tarde, come per esempio in Guernica, allorché all'entità geometrica se ne sostituirà una simbologica. Il processo analitico di fratturazione degli oggetti e dello spazio, della luce e delle ombre e perfino dei colori venne assimilato da Apollinaire alla modalità di dissezione di un cadavere. Tale tipo di analisi caratterizzò tutti i lavori portati a termine tra il 1909 e il 1911, in gran parte esposti al Salon des Indépendants, a Parigi nel 1910 e alla mostra collettiva dei pittori cubisti del 1911: Chitarra e compostiera (1909, Berna, Kunstmuseum), Donna con mandolino (1909, San Pietroburgo, Museo dell'Ermitage), Fabbrica a Horta de Ebro (1909, San Pietroburgo, Museo dell'Ermitage), Donna in verde (1909, Eindhoven, Stedelijk Van Abbemuseum). A queste opere seguirono alcuni ermetici ritratti, quali quelli dedicati all'amico-commerciante Daniel-Henry Kahnweiler (1910, The Art Institute of Chicago), oppure quelli di Ambroise Vollard (1910, Mosca, Museo Puskin) e di W. Uhde (1910, Saint-Louis, Pulitzer Collection); subito dopo, nel biennio 1911-12, la serie di figure sedute, spesso intente a suonare uno strumento musicale (Il fisarmonicista, 1911), all'interno delle quali P. fondeva insieme figure, oggetti e spazio in una sorta di griglia multidimensionale dove la linea curva era bandita così come qualsiasi ricerca di effetti dinamici. È da sottolineare, soprattutto a proposito delle prime esperienze cubiste, come il concetto di rappresentazione simultanea della totalità degli elementi e degli aspetti dell'oggetto, integrando all'interno della composizione l'elemento temporale, si ponga come momento di mediazione tra l'esperimento pittorico, quello fotografico e quello successivamente realizzato con il cinema. Tra il 1911 e il 1914, il movimento cubista pervenne a uno svolgimento più complesso e multiforme: la riduzione dell'oggetto a un'organizzazione di forme geometriche semplici venne via via esasperata fino a ottenere il massimo possibile della scomposizione, in modo tale che l'oggetto cessava di esistere, trasformandosi nel semplice punto di partenza sulla strada della creazione pittorica. L'autonomia del "fare artistico" veniva finalmente esplicitata e, al suo interno, poteva realizzarsi effettivamente la massima variazione della tematica iniziale secondo le esigenze particolari delle diverse sensibilità e capacità espressive. Nel frattempo aveva aderito al movimento un numero relativamente alto di artisti (fra cui anche alcuni critici e poeti), ciascuno dei quali portò il proprio contributo determinante per l'evoluzione stilistica del gruppo, per altri versi tutt'altro che omogenea. Se Braque tendeva verso un' organizzazione maggiormente lineare, cromaticamente ricca e formalmente più equilibrata, P. propendeva per una maggiore ritmicità architettonica, all'interno della quale la funzione della proiezione delle forme trovava la massima applicabilità; anche i valori cromatici, più incisivi e meno variati, miravano a ricreare quel fattore di potente drammaticità, presente fin dalle prime opere, ma al di fuori dello schema tradizionale della contrapposizione di piani, di luci, di colore. Superfici, luce e colore tendevano, anzi, a presentarsi come valori autonomi l'uno dall'altro, eppure riproposti in unità attraverso una sintesi formale valida di per se stessa. Da questi presupposti nacquero l'Uomo con mandolino (1911-12, Milano, Collezione privata), Il poeta (1911, Venezia, Collezione Peggy Guggenheim) e il Mandolinista (1911, Liegi, Collezione M.F. Graindorge). Il raggiungimento della totale autonomia da parte dell'immagine dipinta, ormai lontana dalla rappresentazione delle semplici apparenze, consentiva all'immagine stessa di proporsi anche con materiali differenti, mischiati o perfino sovrapposti ai colori stessi. A questo periodo appartengono infatti i primi esperimenti di papiers collés e di collages, effettuati utilizzando i più disparati elementi; parte della critica ha voluto attribuire a Braque l'intuizione dei primi e a P. quella dei secondi, ma appare tuttavia chiaro come, nel rapporto di stretta collaborazione e di massima apertura al confronto che legava i due artisti, si presentasse come esigenza praticamente comune quella di riportare per altre vie, avendo escluso ogni criterio di verosimiglianza, una presenza evidente del reale nelle composizioni. In nessun caso il Cubismo può essere considerato una corrente astratta: l'oggetto della composizione, nelle elaborazioni di quel periodo, diveniva il metodo stesso del dipingere, non l'una o l'altra figura astratta; tanto il punto di partenza oggettuale quanto, e questo era vero soprattutto per le opere di P., la mediazione del mezzo tecnico rimaneva sempre in stretto rapporto con una particolare concezione dell'oggetto rappresentato. L'esperienza del Cubismo sarebbe rimasta determinante per tutti gli artisti che vi erano venuti a contatto, ma in particolare per P. segnò un momento fondamentale, per quanto differenti sarebbero state le successive esperienze pittoriche da lui affrontate. In effetti, pur tornando per un breve periodo alla rappresentazione oggettiva sulla scia del nuovo classicismo introdotto da Ingres, P. non negò le premesse del movimento: la funzione della deformazione formale e, soprattutto, della decanonizzazione della pittura, rimase l'epicentro della sua ricerca artistica anche nella cosiddetta fase neoclassica, contraddistinta da una ripresa dei temi e degli stili della scultura romana e della pittura pompeiana, che aveva avuto modo di conoscere nel corso del viaggio in Italia del 1917. Certo, questa parziale svolta è da mettersi in relazione anche con la pesantezza del clima postbellico, con l'esigenza sentita da tutti gli intellettuali di una revisione del proprio operare; tuttavia, ciò non significa che queste esperienze debbano essere astratte dal contesto storico della produzione di P. In effetti, accanto a queste opere di ispirazione classica, ve ne furono altre, come I tre musicisti (1921, Museum of Art, Filadelfia) che svilupparono coerentemente lo stile cubista. Del resto poco più tardi P. insorse in modo violento contro le tendenze classicheggianti ormai imperanti in tutta Europa con un altro dipinto determinante, le Tre danzatrici (1925, Londra, Tate Gallery), laddove la scomposizione della realtà diventava una vera e propria esplosione del concetto formale, rendendo il mondo inconoscibile se non per il tramite di una visione volutamente iperframmentata. Nel periodo antecedente il 1925 P. fu molto interessato all'arte scenografica, in ciò stimolato dalle discussioni avute con il giovane Cocteau al Café de la Rotonde e dal successivo incontro con Sergey Diaghilev e il balletto russo, per il quale produsse le scene di Parade (1917). Negli anni successivi P. disegnò scenografie per De Falla (Il cappello a tre punte, 1919; Quadro flamenco, 1921), Stravinskij (Pulcinella, 1920), Satie (Mercurio, 1925) e lo stesso Cocteau (Antigone, 1925). Dello stesso periodo sono i ritratti di Radiguet e di André Breton, l'estensore del manifesto del Surrealismo, nonché una serie di litografie e incisioni, tra le quali spicca Tre maschere da musicanti. Nel 1925 P. partecipò all'esposizione parigina dei surrealisti; per quanto i suoi ultimi lavori lo avessero condotto a esiti non lontani dalle soluzioni surrealiste, e ancora di più lo approssimavano a esso opere successive quali Figura in riva al mare (1931) oppure le coeve sculture, tuttavia non è lecito parlare di una sua adesione totale al movimento; si trattò, piuttosto, di un confronto e di un aggiornamento del suo linguaggio, di una ricomposizione della sua tematica sulla base di una realtà storica e culturale che aveva ormai di fatto superato il Cubismo. In effetti P. non si lasciò mai andare alla costruzione di uno stereotipo; se l'esperienza cubista rimase fondamentale, come traspariva dall'esigenza di riproporre in unità logica i dati fondamentali anche in opere quali Metamorfosi (1929), i temi del surreale, del fantastico gli fornirono l'occasione per disciplinare la propria creatività. Il Surrealismo suggerì a P. nuovi temi, specialmente erotici, mentre ne rafforzò alcuni già presenti nei suoi lavori. Tuttavia, che il rapporto tra P. e il Surrealismo non fosse improntato a mera univocità è dimostrato dal fatto che alcune caratteristiche costanti dei primi esempi di pittura surrealista erano già state anticipate nel corso della prima fase cubista, dall'invenzione del collage all'isolamento dell'oggetto (come, per esempio, nella Chitarra di latta del 1912). In questo periodo egli dipinse figure mostruose in riva al mare, figure monumentali e tormentosamente deformate, immagini inquietanti, spesso angoscianti. Il tema del minotauro, metà toro e metà uomo, tradizionalmente visto come incarnazione della lotta tra l'umano e il bestiale, divenne in P. non solo una evocazione quanto piuttosto la manifestazione di una esperienza personale. Nella prima metà degli anni Trenta l'artista attuò un superamento della poetica surrealista, producendo sculture e dipinti all'interno dei quali la deformazione assurse a simbolo dei mali interiori dell'umanità. La guerra civile spagnola, con il suo carico di significati ideali e di orrori segnò una svolta importante nella vita e nella produzione di P., che fin dal principio si dichiarò apertamente a favore della democrazia. Nominato direttore onorario del Prado dal Governo repubblicano, l'artista visse con forte impegno il dramma del suo Paese, dapprima realizzando il poemetto Sogni e menzogne di Franco (1937), illustrato con una serie di diciotto acqueforti, quindi dando vita a una delle sue opere più significative e importanti: Guernica (Madrid, Museo Reina Sofía). La composizione, espressione del forte sdegno successivo al bombardamento tedesco della cittadina basca, rappresentò il primo esempio di intervento esplicito e diretto dell'arte nell'azione politica. Pur ponendosi del tutto al di fuori della logica cubista, l'opera traduceva alcuni elementi formali, quali la tipicità del singolo elemento compositivo e l'uso del collage, in funzione simbolico-espressiva, escludendo sia una retorica sull'oggetto di tipo surrealista sia qualsiasi accenno di realismo plastico-formale; eppure ciò non toglie che nella descrizione della singola immagine sia pienamente riconoscibile l'assimilazione della lezione surrealista. In assenza di ogni valore cromatico, la pittura in bianco e nero, sulla quale aleggia la violenza e la brutalità incarnata dalla presenza taurina, risolve la drammaticità senza alcuna indulgenza al patetico. La denuncia contenuta nell'opera, che andava ben al di là del fatto contingente, venne coerentemente ripresa anche in lavori successivi, quali la serie di Tauromachie e di figure femminili deformi dipinte nel periodo della seconda guerra mondiale. In questa nuova direzione di ricerca pittorica possono porsi anche altre opere più tarde, quali la tela con Donne sedute (1944), dove appaiono figure viste simultaneamente di prospetto e di profilo. Nel corso di quegli anni P. dimorò a Parigi, dove ebbe modo di dedicarsi anche alla litografia, alla scultura (Testa di toro, L'uomo dal montone) e nuovamente al teatro (Il destino preso per la coda). Tra il 1945 e il 1952, in concomitanza con la sua adesione al Partito comunista, si collocano una serie di opere di impegno politico-civile: il Carniere (1945, ispirato al dramma dei campi di concentramento nazisti), il Massacro in Corea (1951), e i lavori realizzati in occasione dei tre congressi mondiali per la pace, la celebre Colomba della pace (1949) e i pannelli della Pace e della Guerra (1952-54, Vallauris, Musée National Pablo Picasso). Trasferitosi nel 1947 a Vallauris, nella Francia meridionale, dopo un breve soggiorno ad Antibes (Joie de vivre, 1946, Antibes, Musée Picasso), P. iniziò a sperimentare nuove forme di espressione artistica, dalle arti grafiche e decorative in genere alla pittura su carta e stoffa. A questi anni di rinnovata calma interiore (anche grazie alla vicinanza della scrittrice Françoise Gilot) risale pure l'inizio della sua intensa attività di ceramista, in cui profuse il senso antichissimo delle sue origini mediterranee e la grande passione per la manualità. A partire dal 1955, con la serie de Le donne di Algeri, P. rinnovò la sua polemica sulla storicità del fatto artistico; ribadendo che nulla è da ritenersi immutabile o valido in sé, ma è comunque suscettibile di modificazione e critica, l'artista riprese Las Meninas di Velázquez (riproposta in una serie di ben 48 variazioni, Barcellona, Museo Picasso) e Le déjeuner sur l'herbe di Manet (1961). Nel 1958 realizzò, per il palazzo dell'Unesco a Parigi, il pannello con La caduta di Icaro. Negli ultimi anni della sua vita, trascorsi prima a Cannes quindi a Mougins, nell'immediato entroterra, P. produsse ancora moltissime opere, soprattutto sul tema preferito de Il pittore e la modella (1963, Parigi, Collezione Kahnweiler), attrezzando una vera e propria bottega per la grafica e la ceramica. Fra i numerosi riconoscimenti attribuitigli, il Premio Lenin per la pace, ricevuto nel 1966. A lui, nel 1985, Parigi dedicò un apposito spazio museale, dove sono raccolte le numerose opere che P. ha donato alla Francia (Malaga 1881 - Mougins 1973).
Pablo Picasso: “La famiglia”

Pablo Picasso: “Guernica”